Il presidio sanitario di Emergency durante l’emergenza Covid-19

Il presidio sanitario di Emergency durante l’emergenza Covid-19

Come costruire nuove forme di prossimità con il quartiere in un momento in cui ci è imposta la distanza fisica? Come Mapping San Siro abbiamo pensato di costruire “A un metro di distanza”: un osservatorio sul quartiere San Siro per raccontare e monitorare gli effetti dell’emergenza sanitaria, economica e sociale provocata dal Covid-19. A partire dal 21 maggio ogni martedì e giovedì pubblicheremo i contributi della rubrica “Voci dalla rete locale Sansheroes”: prospettive dei soggetti locali che continuano ad operare all’interno del quartiere, affrontando numerose difficoltà e mettendo in campo pratiche innovative e collaborative. 

La gestione dell’emergenza sanitaria ha ampliato le difficoltà quotidiane di molte famiglie del quartiere. Una prospettiva particolare è quella di Emergency che dal 2015 ha aperto un ambulatorio mobile nel quartiere San Siro e in altre zone marginali della città, garantendo il diritto alle cure a tutti gli abitanti di queste aree, indipendentemente dal loro status giuridico.

Loredana Carpentieri, mediatrice culturale e responsabile dell’ambulatorio mobile di Emergency, racconta le difficoltà del quartiere in questi mesi.

Come avete riorganizzato l’attività dell’ambulatorio mobile nella fase 1? 
Da quando è iniziata l’emergenza abbiamo sospeso l’attività di tutti volontari e, quindi, anche il servizio di pediatria. Le visite sono state limitate solo alle situazioni urgenti. Il servizio di supporto psicologico in sede è stato riorganizzato attraverso colloqui via Skype.
Nei quartieri abbiamo allestito all’esterno del Politruck un’area di triage con la presenza di un infermiere e di un mediatore culturale. Alle persone veniva chiesto di compilare una scheda come quella utilizzata dai medici di base con alcune domande rispetto ai sintomi compatibili con il Covid (tosse, raffreddore ecc.). Se la persona risultava positiva al triage non poteva essere visitata da noi ma veniva indirizzata verso il medico di base, se lo aveva, e gli venivano date le informazioni necessarie sulle precauzioni da prendere e l’iter da seguire per controllare il proprio stato di salute. Abbiamo poi monitorato telefonicamente l’andamento di questi casi.

Avete visto molte persone Covid positive?
Abbiamo incontrato alcune persone con sintomi riconducibili al Covid ma non essendo stati fatti tamponi a tappeto non abbiamo la certezza della loro positività. Abbiamo, ovviamente, consigliato sempre l’isolamento e monitorato telefonicamente il decorso dei sintomi, accertandoci che i pazienti erano riusciti a contattare il medico e chiedendo loro se avevano bisogno di un supporto linguistico. 

Quali difficoltà hai notato nella gestione dell’emergenza da parte degli abitanti?
Abbiamo sperimentato direttamente la difficoltà di accesso ad una corretta informazione e agli stessi strumenti informativi; difficoltà a capire la necessità di rimanere in casa, di fare le cose da remoto anche per chi non aveva sintomi. San Siro è stata una delle postazioni più difficili da gestire, proprio per il problema connesso ad una corretta comunicazione dei comportamenti da tenere per evitare il contagio. Tuttavia, nonostante le difficoltà incontrate, non si sono state differenze in termini di contagio, rispetto ad altre aree della città.
Per molti c’è stata una difficoltà di isolamento legata alle condizioni di vita. Sono tante le contraddizioni emerse in questo periodo: isolarsi in una casa con cinque stanze è diverso dal farlo in una casa sovraffollata. Qui ci sono molte case popolari, occupate, in cui è spesso non possibile avere una persona per stanza.
Infine, molti pazienti non riescono a mettersi in contatto con il proprio medico. Alcuni per difficoltà linguistiche; altri, invece, come molti anziani italiani, non riuscivano a mandare la mail per fare la richiesta di rinnovo dell’iscrizione al servizio sanitario a causa della chiusura degli sportelli “scelta e revoca”. Potrebbe sembrare banale ma molte persone si sono ritrovate senza alcun tipo di supporto terapeutico per quasi 4 mesi.

In questo periodo come avete collaborato con la rete territoriale?
Dai nostri utenti ci sono arrivate richieste di pannolini e prodotti per l’infanzia, ci siamo, così, interfacciati con QuBì e i custodi sociali. Poi, durante il Covid, Emergency ha collaborato ai progetti “Domiciliarità” e “Accoglienza” con il Comune di Milano. In quest’ultimo caso, ad esempio, Emergency si occupa della supervisione sanitaria dei centri di accoglienza, delle comunità per minori stranieri non accompagnati e dei dormitori, al fine di capire quali fossero le difficoltà nella gestione delle misure di sicurezza in questi spazi e individuare la necessità di situazioni di isolamento. 
Il Comune ha predisposto l’edificio di via Carbonia per l’isolamento degli ospiti di queste strutture o di chi, con sintomi compatibili con il Covid, non avesse un domicilio. In questi casi, Emergency ha gestito il monitoraggio sanitario degli ospiti.

Cosa cambierà nel “vostra” fase 2?
Al momento stiamo cercando di capire come organizzare gli spazi nell’ambulatorio mobile per rispettare le distanze di sicurezza in uno spazio molto ristretto. Ora stiamo cercando di spostare all’esterno la maggior parte delle attività, però l’idea è di elaborare linee guida che possano essere applicate più a lungo termine anche oltre il periodo estivo. 

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