Note a margine di un colloquio con Emilio Faroldi

Note a margine di un colloquio con Emilio Faroldi

A cura di Francesca Cognetti e Paolo Grassi
28 marzo 2023, Politecnico di Milano

Emilio Faroldi, professore ordinario e prorettore al Politecnico di Milano, oltre che direttore del Master in Sport Design and Management presso la stessa università, è sicuramente un esperto a cui chiedere un’opinione informata sulle vicende riguardanti l’ipotesi di abbattimento e ricostruzione dello stadio di San Siro.

Propone di incontrarci nel suo ampio ufficio presso il Rettorato. Dietro la sua scrivania una gigantografia di Brasilia, sulla parete a destra alcuni manifesti legati ad eventi del Politecnico sono custoditi da cornici bianche. Sull’altro lato della stanza una libreria di legno scuro accoglie volumi, riviste e alcune foto di famiglia. Ci sediamo intorno a un tavolo e iniziamo a conversare:

– Qual è il vostro punto di vista sullo stadio? – ci chiede per iniziare.

– In questo momento vorremmo analizzare il processo trasformativo che lo riguarda – dichiariamo, ponendoci in ascolto e smarcandoci da posizionamenti assolutisti in modo da instaurare un dialogo costruttivo.

Il suo punto di vista sul progetto aderisce in parte a quello dell’Inter e del Milan, dato che ha seguito queste vicende da lungo tempo, quando nel 2016 si parlava di un nuovo stadio del Milan presso l’area della Fiera di Milano (mentre l’Inter sarebbe rimasto al Meazza). Spiega che l’eccezionalità della proposta discussa con il Dibattito Pubblico stava nella collaborazione tra i due club. Faroldi utilizza spesso esempi tratti da altri paesi europei per sostenere le sue argomentazioni. Cita nomi di club e di stadi, dati quantitativi e normative. Non esistono altri casi in cui due squadre avversarie abbiano proposto di costruire uno stadio insieme. Secondo Faroldi tale elemento costituisce un punto di forza che l’amministrazione non dovrebbe sottostimare, a maggior ragione considerando l’importanza delle due squadre, a livello nazionale e internazionale.

Per Faroldi la costruzione di uno stadio è innanzitutto un’opportunità, un modo per creare un’infrastruttura urbana capace di trasformare e rigenerare un pezzo intero di città. I mondiali di calcio del ’90 hanno da questo punto di vista rappresentato un’occasione perduta: non si è colta l’opportunità di fare dei maggiori stadi italiani delle infrastrutture capaci di innervare il territorio, con funzioni pubbliche importanti. Lo stadio è “la punta dell’iceberg” di un universo che collega i ragazzi dei vivai ai calciatori più affermati, passando per attività economiche, culturali e sociali e il fenomeno del “tifo”. Lo stadio è un edificio attrattore e attrattivo, certo difficile da gestire per i grandi flussi che mobilita, paragonato da Faroldi a grandi edifici quali San Pietro, o la Mecca. Questa gestione ha dei costi molto alti che non vengono coperti dai biglietti di ingresso. Oggi i proventi del calcio sono legati ad altro e comunque l’investimento ha bisogno di altre funzioni per essere remunerativo.

Lo stadio Meazza è una struttura obsoleta, forse ristrutturabile, ma di certo vecchia e non più efficiente. Su questo punto Faroldi è categorico: troppo cemento, poca sicurezza, troppi posti a sedere. Non è neanche possibile installare una rete wi-fi efficiente, che in questo momento non è presente. Lo stadio Meazza non ha valore storico. La sua importanza è piuttosto legata a una dimensione simbolica, alle emozioni che è in grado di produrre:

– Prendete il vecchio Wembley. Lo hanno completamente rifatto, ma conserva la sua rilevanza, anche per la storia che incarna, a prescindere dalla sua forma architettonica.

Ciò detto, la demolizione non sembra una strada realmente percorribile: si parla di 450 milioni di euro contro i 200 che servirebbero per la costruzione di uno nuovo. Le altre due opzioni riguardano l’abbattimento e la ricostruzione di un nuovo stadio o la costruzione di un secondo stadio, adibendo il Meazza ad altri usi. Faroldi, tuttavia, non da cenno all’impatto ambientale di simili operazioni.

Inoltre, a suo parere, lo Stadio andrebbe mantenuto lì: su quel territorio ha contribuito a costruire e consolidare la “vocazione sportiva” di San Siro. Il quartiere ha costruito negli anni quella sua connotazione, anche attraverso la presenza degli ippodromi e dei parchi, che non può essere spazzata via, pena uno stravolgimento dell’attuale assetto urbano dell’area. Il rischio è quello di avere uno stadio vuoto, un abbandono che trainerebbe degrado e che potrebbe sfociare in una nuova speculazione edilizia. Gli stadi, se pensati in modo complesso, costituiscono una funziona urbana: devono quindi rimanere in città, al pari dei campus universitari.

La questione critica sollevata da Faroldi riguarda il ruolo degli attori istituzionali e la mancanza di una regia forte, di una visione e di chiare linee di azione, unite a una marcata indecisione nell’orientare la proposta. Non si tratta quindi di negare la necessità del progetto, ma di coglierne le opportunità di sviluppo. Faroldi critica inoltre i tempi del Dibattito Pubblico, arrivato in ritardo rispetto al processo in atto.

Proviamo a problematizzare la sua posizione. Gli chiediamo se sia davvero possibile sganciare totalmente la disposizione sportiva dell’area dalle architetture che oggi la caratterizzano. Faroldi è convinto di sì: gli spazi si scrivono e si riscrivono da sempre. Non dobbiamo averne paura.

Ci chiediamo se tale affermazione valga sempre e comunque e a quali condizioni. Emerge qui nuovamente la centralità della dimensione politica e di chi è chiamato a garantire l’interesse pubblico.

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