Ascolto e incontro, anche “a distanza”

Ascolto e incontro, anche “a distanza”

Come costruire nuove forme di prossimità con il quartiere in un momento in cui ci è imposta la distanza fisica? Come Mapping San Siro abbiamo pensato di costruire “A un metro di distanza”: un osservatorio sul quartiere San Siro per raccontare e monitorare gli effetti dell’emergenza sanitaria, economica e sociale provocata dal Covid-19. A partire dal 21 maggio ogni martedì e giovedì pubblicheremo i contributi della rubrica “Voci dalla rete locale Sansheroes”: prospettive dei soggetti locali che continuano ad operare all’interno del quartiere, affrontando numerose difficoltà e mettendo in campo pratiche innovative e collaborative.

Dorotea Beneduce, danzamovimetoterapeuta e counsellor nonché presidente dell’Associazione Il Telaio delle arti, un’associazione di promozione sociale che opera principalmente nel settore delle artiterapie (danzaterapia, arteterapia, musicoterapia, teatro sociale), lavora da diversi anni negli ambiti terapeutico-riabilitativo, socio-pedagogico, socio-culturale. All’interno del quartiere San Siro, l’associazione segue attualmente alcune azioni del progetto QuBì, tra cui Il Cerchio Condiviso, un’attività di socialità e condivisione destinata alla popolazione femminile e ai bambini.

Abbiamo chiesto a Dorotea di raccontarci come sia stata ri-organizzata questa attività:

Il lavoro con le donne in realtà non lo abbiamo mai arrestato. Abbiamo prima iniziato a telefonare loro perché volevamo capire se il contatto era gradito o meno: di fronte a una catastrofe bisogna un po’ prendere le misure. Delle 27 donne che avevamo molte hanno risposto positivamente. Quindi abbiamo iniziato ad avere questi colloqui telefonici: della nostra equipe ognuno seguiva un gruppettino di donne. Se da una parte questo mezzo ha limitato, dall’altra in realtà ha permesso anche di far emergere ancora più rapidamente alcune tematiche e quindi abbiamo scoperto cose che non sapevamo prima. Abbiamo scoperto ad esempio che tante donne sono seguite dai servizi sociali, cosa che magari prima non ci avevano raccontato. I bisogni emersi sono stati i più disparati.

Come vi siete organizzati per rispondere a queste richieste che arrivavano, che esulavano magari anche in parte dalle vostre attività?

Se c’era bisogno di aiutare con i compiti o di acquistare qualcosa, lo abbiamo fatto direttamente noi: dove riuscivano ci siamo attivati. Per altre richieste abbiamo via via contattato le realtà a noi vicine che pensavamo potessero dare risposta. Per esempio di fronte a bisogni più sanitari abbiamo cercato di capire caso per caso quale fosse il servizio più adatto, a una donna abbiamo dato il contatto di Emergency… Perché c’è da dire che alcune donne sono state male e ci sono alcune che tutt’ora stanno male: stanno attraversando un trauma, proprio anche da un punto di vista psicologico, in maniera molto faticosa.
Sono emersi bisogni molto diversi tra loro: da una parte c’era il bisogno di essere ascoltati. Qualcuno aveva anche vissuto qualche lutto in quartiere, alcune persone importanti di riferimento per le famiglie. Quindi c’è stata una telefonata di condivisione e conforto. Oppure come ti dicevo sono emersi bisogni legati al sanitario, alla scuola, allo sfratto, o alimentari…

Oltre a queste importanti forme di ascolto e di sostegno, quali sono le attività che avete proposto?

Ci siamo chieste a un certo punto se non fosse il caso di aiutare le donne a ritrovarsi anche online – come facciamo attraverso le attività de Il Cerchio Condiviso – perché di fronte a questa emergenza c’è anche un po’ la fatica a stare insieme, magari si scappa ancora di più, si fugge di più… e allora ritrovarsi magari potrebbe essere utile per riprendere le fila, guardarsi, non sentirsi soli.
È faticoso perché non tutte riescono a maneggiare l’aspetto tecnologico però in questo le abbiamo aiutate. Abbiamo già tenuto quattro incontri online con un contenitore sempre strutturato, nel senso che proponiamo delle attività che aprono poi a racconti, narrazioni. Negli ultimi tre incontri abbiamo invitato anche degli esterni che collaborano con noi per offrire un approfondimento su tematiche più specifiche. 

Quali sono state le tematiche trattate?

Abbiamo contattato una pediatra per parlare del tema dell’alimentazione: qualche donna portava la fatica di qualche bambino a mangiare, inappetenza, in questo periodo in cui stanno sempre incollati al televisore… devo dire che da lì si è scoperto che il bimbo ha anche altre problematiche più serie perché non parla e quindi è scattata la segnalazione alla Uonpia… Come dire,  è una sorta di vaso di Pandora che si è aperto e stanno venendo fuori sempre più cose.
Poi abbiamo invitato un’altra collega psicologa che ha parlato invece un po’ di questa Fase 2 [l’intervista è stata effettuata appena avviata la Fase 2] e lì sono emerse donne un po’ più fiduciose e donne più spaventate che fanno fatica a scendere, che non hanno alcun contatto con l’esterno. La mia sensazione è che queste donne abbiano davvero molta paura  ad uscire. Anche perché durante il periodo iniziale molte lamentavano di vedere tantissimo passaggio in quartiere, lo vedevano dalle finestre… Però ecco, online c’è questo sostegno, qualcuna che è più fiduciosa che aiuta l’altra.
Una cosa bella e significativa che ci ha fatto riflettere è che in questa fase un papà si è affacciato: noi abbiamo sempre un po’ pensato di aprire alla famiglia le attività di condivisione… questo segnale ci ha dato fiducia nella possibilità di aprire anche ad altri papà, ma abbiamo compreso che diversi hanno ripreso poi il lavoro, c’è anche credo una necessità pratica, lavorativa, economica e appena è arrivata questa Fase 2…

Quante donne hanno aderito fino ad ora?

Almeno una decina di donne piano piano stanno aderendo quindi ci auguriamo che questo numero possa lentamente crescere. La modalità online ha consentito alle donne di inserirsi negli incontri, di volta in volta, anche nelle lunghe distanze (penso ad esempio ad A. che sta a Belgrado perché non è riuscita a rientrare) e la partecipazione di donne provenienti da altre realtà del quartiere (per esempio alcune donne che seguono il corso di lingua di Alfabeti), in un’ottica integrata con la rete Sansheroes. Ora c’è anche il Ramadan: le donne di religione musulmana stanno vivendo questo momento e magari fanno più fatica ad essere coinvolte. Devo dire che per molte questo momento religioso è una fase di purificazione, la stanno vivendo bene, come se le avesse aiutate anche a riconnettersi: la vivono come una possibilità di passaggio, di benessere.

Molti ci parlavano del fatto che si siano acuiti dei bisogni primari come cibo e medicine e quindi la sensazione era che fossero passati un po’ in secondo piano altri bisogni, dalla tua percezione invece emerge una complessità di bisogni, allora mi chiedevo se le famiglie con cui siete in contatto voi magari hanno usufruito di reti?

Mah, non lo so perché per esempio il problema della casa, relativo a uno sfratto (che teoricamente dovrebbe essere sospeso in questa fase) me lo ha portato una donna che era seguita dai servizi sociali. Lei stessa mi ha posto proprio questa domanda: perché non fosse più seguita… dal punto di vista degli assistenti sociali c’è un bel punto di domanda e avrei qualcosa da dire perché in questo periodo il vuoto l’ho sentito soprattutto da quella parte lì, un grande vuoto… Questa signora ad esempio prende un contributo minimo ma veramente esiguo, di 200 euro, quindi in realtà la problematica economica non è che non ci sia… forse magari i mariti di altre donne si sono collocati da un punto di vista lavorativo come tuttofare e quindi appena è scattata la Fase 2 si sono immediatamente attivati… Poi magari alcune fanno anche tanta fatica a nominare delle necessità… quando abbiamo fatto l’incontro con la pediatra io non mi immaginavo che venissero fuori delle cose e quindi ci vuole anche del tempo, gli strumenti perché certe cose possano emergere…

E secondo te le misure che sono state messe in campo sono state recepite, capite, sfruttate?

Mah, io credo di sì. Anzi, anche tanto. C’è stato l’effetto paura. La pediatra che abbiamo incontrato le ha proprio dovute invitare a fare una piccola passeggiata, con tutta la prudenza, le precauzioni. Lei ha proprio detto: “Guardate che i virus si combattono all’esterno, non all’interno delle case quindi il fatto di poter fare una piccola passeggiata, magari nei momenti meno affollati, vi può aiutare”. 
Tutta la documentazione della Scuola Cadorna che era girata e che anche noi abbiamo diffuso [le misure di contenimento del contagio tradotte in varie lingue] ha aiutato a capire e ho visto molta responsabilità da quel punto di vista… C’è tutta la parte Rom che rimane un po’ scoperta nella mia percezione. Delle persone che forse sono state meno attente e quindi magari vedendosele in giro c’è un po’ questo timore, comprensibilissimo… anche quando dovremo ripartire con i laboratori per i bambini sul territorio ci sarà da capire come strutturarli con misure di precauzione adeguate.

Ci sono altre attività che avete portato avanti, sul fronte educativo e creativo?

Abbiamo fatto partire in parallelo due progetti creativi, sì.
Uno era il contenitore Etcì si crea che è un evento Facebook che abbiamo creato e parallelamente  un canale Youtube su cui abbiamo inserito contenitori di vario tipo: narrazioni, storie per bambini da far ascoltare magari la sera, musica… Lo abbiamo costruito pensando che anche le donne e i bambini del quartiere potessero fornire dei loro contributi per costruirlo: qualcosa è arrivato. Non tantissimo perché c’era più voglia e desiderio di ricevere che non dare. Però sono arrivate delle piccole cose che poi abbiamo messo in questo contenitore.
E poi c’è questo progetto, La casa tesoro, sempre sul canale di Youtube. Qui abbiamo immaginato la casa come un’isola del tesoro e abbiamo chiesto a ciascuno di immaginarsi un percorso per arrivare a questo tesoro e poi narrarlo, attraverso un contributo video. Ce ne sono arrivati sei, da varie parti del mondo, non solo e non tanto dal quartiere: ora li monteremo insieme, anche con le musiche. Dal quartiere è arrivato poco perché la dimensione della casa è davvero un po’ sofferta.

Quindi secondo te c’è pudore nel mostrarla?

Eh sì, è un po’ sofferta… Qualcuno ha osato farcela vedere, tipo un bambino che ha portato un bellissimo contributo. Ma per esempio ha creato dietro di sé un sipario, non so come ha fatto. Qualcuno invece ha fatto emergere molto la nostalgia, il ricordo di casa… infatti è stato faticoso ottenere questi filmati. Comunque questi racconti fanno bene anche a chi li ascolta, diventano nutrienti anche per gli altri…

 

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.