Il Comitato genitori: un’antenna di quartiere

Il Comitato genitori: un’antenna di quartiere

Come costruire nuove forme di prossimità con il quartiere in un momento in cui ci è imposta la distanza fisica? Come Mapping San Siro abbiamo pensato di costruire “A un metro di distanza”: un osservatorio sul quartiere San Siro per raccontare e monitorare gli effetti dell’emergenza sanitaria, economica e sociale provocata dal Covid-19. A partire dal 21 maggio ogni martedì e giovedì pubblicheremo i contributi della rubrica “Voci dalla rete locale Sansheroes”: prospettive dei soggetti locali che continuano ad operare all’interno del quartiere, affrontando numerose difficoltà e mettendo in campo pratiche innovative e collaborative. 

Margherita Calvi è membro dell’Assemblea dei genitori della scuola primaria Cadorna, sita in via Carlo Dolci. Il suo è un altro punto di vista che parte dalla scuola e raggiunge il quartiere San Siro. Il lavoro dei rappresentanti di classe nel periodo d’emergenza è stato, infatti, pienamente “territoriale”. Alcuni genitori hanno favorito la comunicazione tra famiglie e istituzione scolastica, raccogliendo esigenze e bisogni e riportando richieste e informazioni provenienti dalla dirigenza e dal corpo docente. Margherita esprime anche la sua preoccupazione per l’inizio del nuovo anno scolastico. A distanza di più di un mese dalla nostra chiacchierata telefonica, le indicazioni ministeriali per la gestione delle riaperture non sono ancora chiare.

Di solito l’attività precipua portata avanti da molti genitori dell’I.C. Cadorna confluisce nell’opera delle Commissioni nate in seno all’Assemblea (Intercultura, Informatica, Inclusione, Mensa, La scuola si fa bella, la commissione che organizza la marcia…) e nelle attività dell’Associazione sportiva dilettantistica culturale Cadorna che organizza i corsi extracurriculari e sostiene anche progetti curricolari specifici. Ovviamente tutte queste attività sono state sospese durante l’emergenza. Abbiamo allora provato a mettere in contatto, attraverso i gruppi WhatsApp e l’invio di piccoli video, i bambini dei corsi extracurricolari con i loro insegnanti, per mantenere un po’ la relazione e la vicinanza. Tutto comunque è partito un po’ a rilento. Diciamo che i primi contatti sono avvenuti ad aprile. L’attività dell’Associazione Cadorna si è poi focalizzata sui vari bisogni del quartiere. Il lavoro dei genitori è stato più a un livello istituzionale, tra rappresentanti, organi dell’istituto e il Consiglio d’Istituto. Di fatto, sono stati investiti di un ruolo effettivo tutti i rappresentanti di classe, indipendentemente dal fatto che fossero dei genitori più o meno attivi nella scuola in altre forme. Tutti sono stati chiamati a svolgere un ruolo fondamentale, perché fin dall’inizio i rappresentanti di classe hanno garantito un canale di comunicazione tra scuola e famiglie. Erano gli unici ad avere contatto con gli insegnanti e fin dalla prima settimana sono stati quelli che hanno dovuto mettere in rete la funzionalità della scuola a distanza.

Quindi gli insegnanti contattavano i rappresentanti di classe e da lì gli altri genitori?
I rappresentanti di classe dovevano girare ogni cosa che provenisse dagli insegnanti ai genitori e ogni cosa che proveniva dai genitori agli insegnanti. Questo è stato il lavoro di molti dei genitori rappresentanti di classe.

Ciò è avvenuto in maniera omogenea?
Nelle singole classi c’erano cose parzialmente differenti, con anche parecchie disparità. Però nella stragrande maggioranza dei casi la didattica a distanza è iniziata in aprile. In particolare, la grossa parte del lavoro è iniziata dopo il 20 aprile perché la circolare emessa dal preside prima di Pasqua lo ha imposto, è stata la prima che ha dato una direttiva generale su quanto, quando e come in ogni classe si dovessero organizzare le lezioni. In quasi tutte le classi era iniziata la sperimentazione di Zoom, però con una frequenza mono o bisettimanale e quasi sempre senza passaggi di contenuti didattici. Erano delle videochiamate di classe, dei saluti o alcune sperimentazioni con lavori in piccoli gruppi. Però non tutti i giorni, con una modalità abbastanza generica. Il grosso lavoro dei rappresentanti di classe riguardava il farsi carico di quello che gli insegnanti chiedevano e il farsi un po’ promotori. Hanno fatto in modo di riagganciare bambini che non si erano fatti vivi, o genitori che non si erano più fatti vivi, quindi di trovare nuovi modi, numeri di telefono, contatti, telefonate, facendoli chiamare dalle mamme dei compagni che sapevano la loro lingua, dalle vicine di casa… Se ne sono inventate di tutti i colori per raggiungere i bambini che erano meno raggiungibili.

Quindi si è innescata una collaborazione tra insegnanti e genitori?
Sicuramente una collaborazione con gli insegnanti, ma anche molto a livello di promozione sociale individuale: tutti e due i fronti. Gli insegnanti facevano il loro e i genitori anche. L’altra cosa che i genitori hanno fatto è stata di cercare di garantire un passaggio d’informazioni, di raccolta di feedback, di scambio di vedute, per arrivare a fare una proposta in Consiglio d’Istituto di alcune idee migliorative. L’abbiamo sempre pensato come un piano di collaborazione. Abbiamo sempre cercato di mostrare quanto era necessario cogliere i punti di vista di tutti, metterli sul tavolo e lavorarci insieme. Non c’era alternativa in una situazione in cui non c’erano più i muri delle classi, ma c’erano le nostre case. Non era pensabile che le idee su cosa fare non venissero anche dal punto di vista quotidiano di chi stava a casa. Nel tempo è cambiata molto anche la percezione di tutti noi genitori, perché inizialmente forse eravamo un po’ dell’idea che questa situazione si sarebbe risolta presto, che si trattava solo di attendere, che bisognava sospendere tutto e aspettare. Non c’era un grande investimento sulla necessità di far funzionare la didattica a distanza. Col tempo, con le settimane, questa esigenza è sopraggiunta e sicuramente è stata sentita molto anche dalle famiglie. Tutti abbiamo cercato di farla nostra. La modalità con cui ciò è avvenuto è stata molto corale, non dirigenziale: questo è stato anche un bene.

È singolare vedere la diversa reattività che hanno avuto le università rispetto alle scuole.
Sì, in particolare nelle scuole primarie sicuramente c’è stato un tema d’impreparazione di tutti, a livello tecnico. Un universitario si presume che abbia già acquisito capacità di base e possegga gli strumenti perché già li sta usando, perché è già abituato e autonomo. Noi tutti abbiamo dovuto sgrezzare le nostre abitudini. Sono avvenuti dei piccoli miracoli, in un certo senso, perché era una cosa assolutamente impensabile per la maggior parte delle famiglie. Ci sono mamme che hanno dovuto imparare a fare i compiti e a prendere i compiti senza saper leggere l’italiano, mamme che le prime settimane guardavano i messaggi WhatsApp e non sapevano distinguere le cose: riuscivano a fare con i figli i compiti di matematica, perché distinguevano i numeri, mentre i messaggi con le lettere non li capivano, quindi li lasciavano lì, non sapevano se si trattava di compiti o no, e il bambino di prima o di seconda non era ancora in grado di capirlo in autonomia. Questo per dire da dove si partiva. Quindi riuscire a far capire quali potessero essere le modalità per rendere accessibile la didattica era difficilissimo, sia per i genitori, sia per i rappresentanti. Ma anche per gli insegnanti è stato difficile: riuscire a capire se devi metterti in contatto diretto con quella famiglia, se traduci tutto in vocale, o se traduci nelle varie lingue, ecc. Perché sì abbiamo i mediatori, ma non in modo così capillare, così costante. Non è che possiamo far scendere in campo i mediatori per ogni singola comunicazione. Era necessario che i bambini ricevessero una spiegazione per essere più autonomi, quindi che ogni compito fosse adeguatamente spiegato. Questa esigenza a un certo punto è diventata chiara ai docenti, che vedevano i risultati di questo lavoro. I maestri hanno imparato a dover anticipare. E lì davvero si è vista l’abilità degli insegnanti, che sono migliorati tantissimo in questi mesi: hanno imparato a gestire tutte queste difficoltà, questi modi di fare didattica, dando tempo a tutti per evitare che i bambini facessero cose senza aver capito niente.

Quindi queste relazioni tra genitori e tra genitori e insegnanti sono venute tutte tramite telefono e WhatsApp?
La maggior parte delle interazioni è avvenuta tramite WhatsApp. Nei gruppi di genitori attivi, quelli del Consiglio d’Istituto, ci sono stati anche scambi su Zoom. Il coordinamento è stato portato avanti da parte degli apicali e dal presidente del Consiglio d’Istituto. A livello di classe ovviamente i rappresentanti si sono sentiti. Quello che sappiamo è che i docenti stessi hanno dovuto utilizzare per il coordinamento una quantità di tempo enorme. A loro è stato richiesto uno sforzo enorme, mai successo prima, di coordinamento: decisioni, ri-decisioni, verifica delle decisioni, ogni scelta anche minima bisognava stabilirla a livello di interclasse. Sono state raccolte tutte le mail dei genitori per utilizzare la piattaforma del registro elettronico, ma poi si è capito che quella strada non era percorribile. La scuola ha investito tantissimo nel reperimento di tablet. Ne ha distribuiti tanti, sono stati coperti tanti bisogni, in modo molto superiore alla media direi. Sono stati consegnati tablet e computer a gran parte di quelli che ne avevano bisogno, anche se i tempi sono stati lunghi per cui per alcuni si è raggiunto il risultato alla fine dell’anno.

Rispetto a questo lavoro, con chi avete collaborato?
A livello di progetto abbiamo collaborato molto con Sconfini e con le Staffette di Mutuo Soccorso. C’è stata un’ottima collaborazione tra la scuola e la cooperativa Tuttinsieme. È stata interpellata in modo diretto e si è strutturata una staffetta di volontari che hanno aiutato la scuola a raggiungere tutte le famiglie a cui sono stati dati i tablet e le connessioni – sono state date 40 connessioni. La rilevazione dei bisogni è stata fatta dai genitori per lo più. Questo è stato forse un problema perché non sono stati definiti criteri specifici per formare una graduatoria e le rilevazioni fatte dai genitori spesso non erano comparabili perché non basate sugli stessi criteri. Quindi un grande lavoro, un impegno condiviso che alla fine ha dato grandi risultati (190 tablet distribuiti e 40 connessioni sperimentali): abbiamo fatto degli errori, si poteva fare meglio, ma questo è parte di ogni esperienza umana. 

E nell’ultimo periodo le cose sono migliorate?
Nel mese di maggio si è raggiunto un buon livello di funzionamento e la maggior parte dei bambini si è sempre connessa per le lezioni online. Inizialmente credo che nessuno si aspettasse l’impatto che questo avrebbe avuto sui bambini: eravamo concentrati sul superamento dell’isolamento, sul bisogno di mantenere, seppure virtualmente, le relazioni con gli insegnanti e i compagni. Abbiamo invece tutti toccato con mano l’importanza che ha avuto dopo il 20 aprile la ripresa di un’attività didattica “in diretta” continuativa e quotidiana: i bambini erano profondamente assetati di contenuti, è stata restituita loro la gioia di imparare e la normalità della giornata con scadenze orarie e attività simili a quelle scolastiche, nel vuoto e nella paura che fino ad allora avevano certamente permeato le loro giornate. Da bambini assopiti sono tornati ad essere bambini interessati, pronti ad affrontare il mattino.
Nel frattempo, si sono attivate le e-mail. I genitori hanno potuto inviare i lavori dei bambini per e-mail. Quindi si è creato un rapporto diretto con l’insegnante, perlomeno scritto. In alcune classi i docenti hanno usato anche il loro numero personale e si sono inseriti nei gruppi whatsapp, questo però non è stato lo standard. Si sono strutturate tante modalità di lavoro. Progressivamente è stato chiesto un impegno minore ai rappresentanti di classe, che prima facevano moltissimo. Io ho continuato comunque a ricevere quotidianamente tre o quattro telefonate o messaggi di persone che mi mandavano i compiti perché io li mandassi alle maestre, ad esempio. In ogni classe si sono mantenute svariate prassi di comunicazione coi docenti mediata dai rappresentanti, difficili da semplificare. I rappresentanti hanno fatto da tramite per bisogni di tutti i tipi. Dai bisogni scolastici, ai bisogni primari talvolta: cibo, beni essenziali, segnalazioni ai centri di aiuto del quartiere… La dimensione della condivisione scolastica si è allargata a una dimensione territoriale, di appartenenza a un quartiere di cui, attraverso le relazioni scolastiche, ci si prende cura: c’è stata una grande collaborazione.

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