Una scuola di quartiere

Una scuola di quartiere

Come costruire nuove forme di prossimità con il quartiere in un momento in cui ci è imposta la distanza fisica? Come Mapping San Siro abbiamo pensato di costruire “A un metro di distanza”: un osservatorio sul quartiere San Siro per raccontare e monitorare gli effetti dell’emergenza sanitaria, economica e sociale provocata dal Covid-19. A partire dal 21 maggio ogni martedì e giovedì pubblicheremo i contributi della rubrica “Voci dalla rete locale Sansheroes”: prospettive dei soggetti locali che continuano ad operare all’interno del quartiere, affrontando numerose difficoltà e mettendo in campo pratiche innovative e collaborative. 

Paola Radaelli, insegnate nella Scuola Primaria Carlo Dolci, ci racconta di questo periodo in cui la sua categoria ha dovuto reinventarsi, tra didattica a distanza, dispersione scolastica e nuove forme di collaborazione con i soggetti locali. Grazie al lavoro degli insegnanti, in contatto più di altri con le famiglie del quartiere, sono emersi nuovi bisogni: non solo la mancanza di computer o tablet, ma anche questioni legate a bisogni primari (cibo e salute innanzitutto). La fase di passaggio è durata alcune settimane. Non tutte le scuole hanno reagito allo stesso modo e hanno utilizzato le stesse strategie per far fronte all’emergenza. Quello che riportiamo è quindi un punto di vista su un territorio di pratiche frastagliate. Le lezioni per quest’anno sono finite. Rimangono molti interrogativi sull’inizio del nuovo anno e un’unica certezza: l’esigenza di tornare a ogni costo a scuola.

8 maggio 2020
La prima settimana ci siamo semplicemente fermati, perché non capivamo cosa succedeva. Dalla seconda settimana abbiamo invece cominciato a organizzarci, come si poteva. Abbiamo capito che la situazione stava prendendo una brutta piega, quindi abbiamo deciso di contattare tutti i bambini. Tramite i rappresentanti di classe – che stanno facendo un lavoro non splendido, di più, nel senso che sono veramente dei punti di riferimento importantissimi – abbiamo cercato di attivarci per entrare in relazione con questi bambini, da un punto di vista potremmo dire affettivo, più che didattico. Ognuno si è organizzato come meglio riteneva: videochiamate, Zoom, G Suite, o Teams, le piattaforme che abbiamo imparato a conoscere. Il tutto è stato lasciato un po’ alla libera interpretazione dei docenti. Con il primo collegio siamo stati invitati dalla vicaria e dal dirigente ad avere una relazione umana con i bambini e con le famiglie, per capire quali erano i bisogni, le loro esigenze. Abbiamo cercato di raggiungere tutti. Poi, a seconda delle risposte, si proseguiva. Siamo andati avanti così fino al decreto del 20 aprile. Dopo le cose sono cambiate. Dal 20 aprile siamo partiti con la didattica a distanza, obbligatoria. Tutti i giorni ci sono due o tre collegamenti a seconda delle classi. Generalmente vengono fatti con Zoom, perché anche reperire la mail per riuscire a entrare nel sistema dell’istituto non è facile. Tramite la mediatrice ci siamo dati un gran da fare, per cercare di arrivare ad avere contatti con tutti e cercando di portare avanti il programma in maniera il più possibile attinente a quella che era la programmazione didattica che ci siamo dati all’inizio dell’anno.

Siete riusciti a ricontattare la maggioranza dei bambini?
La stragrande maggioranza è stata contattata. Poi ci siamo resi conto che c’erano problemi di collegamento dovuti alla mancanza di device. Questo è un grossissimo problema. Quindi, con l’aiuto soprattutto di alcuni genitori e il sostegno del dirigente, sono stati consegnati un centinaio di device, se non mi sbaglio. Abbiamo offerto a quasi tutti i bambini la possibilità di connettersi, garantendo lo strumento, più che altro. Questo è già stato un passaggio importantissimo.

In questo, a quanto ho capito, hanno dato una mano anche altre realtà associative del quartiere.
Sono stati molto disponibili, anche per la consegna. Perché quest’ultima si è rivelata un problema sostanziale. Adesso il problema sono le connessioni. Nel senso che molti si collegano con la connessione del telefono, l’hot-spot del cellulare, però quando hai due o tre figli che devono fare il collegamento diventa difficile. I dati a disposizione finiscono. La prima consegna dei device è stata fatta ai bambini con difficoltà, DVA [diversamente abili]. Era fondamentale. La prima cosa che si è affrontata è stata questa: i bimbi con difficoltà dovevano essere assolutamente i primi a ricevere questi strumenti. Poi man mano si sono raggiunti gli altri.

Come sta andando la relazione con i bambini?
La relazione sta andando abbastanza bene. Mi sembra che ora la stragrande maggioranza si colleghi ora. Fai conto che noi abbiamo una media di 22-23 bambini per classe. Io penso che 18-19 bambini per classe si colleghino, ma non ho dati ufficiali. Poi non tutti i giorni sono uguali. Adesso è subentrato anche il Ramadan. Ci sono anche questi aspetti contingenti da considerare. Altra questione riguarda l’organizzazione in gruppi: perché non tutte le classi lavorano insieme, ma hanno fatto dei gruppi, soprattutto con i piccoli, in modo tale da poterli raggiungere facilmente. Perché se tu fai una riunione su Zoom con venti bambini di prima elementare, tutti insieme, non funziona.

Quindi fate la stessa lezione con gruppi più piccoli?
Esatto, soprattutto in prima e in seconda: 10 bambini e 10 bambini che fanno dalle 9:00 alle 10:45 italiano e l’altro gruppo della classe fa dalle 9:00 alle 10:45 matematica, per esempio. Poi le colleghe si scambiano i gruppi. Soprattutto con i piccoli. I collegamenti con i piccoli durano 45 minuti e sono due collegamenti al giorno. Con i più grandi sono anche tre collegamenti al giorno di 45 minuti, un’ora, dipende come va la giornata, da come va la lezione.

Dal quartiere e dalle famiglie avete notizie?
Con Sconfini e QuBì state fatte delle grandissime cose. Sconfini manda tutte le settimane il “Manuale di sopravvivenza”, un pdf con giochi e attività, cose che si possono fare a casa. Anche loro contattano personalmente i bambini che seguivano nel doposcuola. Poi c’è un progetto del Comune su Rom Sinti e Camminanti, che sta seguendo le famiglie con cui era in contatto già da prima. Poi si sono tutte le associazioni che si sono attivate per distribuire il cibo, perché quello è stato un altro grandissimo problema.

Dall’ultima riunione che abbiamo avuto con la rete Sansheroes emergeva un quadro abbastanza drammatico. Anche voi avete questo rimando?
Assolutamente sì. Io ho passato i primi quindici giorni dopo il 9 marzo, dopo la chiusura definitiva, ho passato veramente quindici giorni di angoscia, perché tutte le sere ricevevo tre o quattro telefonate di madri che piangevano disperate che dicevano: “Cosa gli diamo da mangiare?”. Poi il problema grosso è che a volte c’è timore nel segnalare certe situazioni di difficoltà, per paura dei servizi sociali. È proprio pesante questa situazione.

Vi state già un po’ immaginando anche i prossimi mesi, oppure è molto presto?
Siamo un po’ tutti angosciati. Nel senso che il nostro grosso problema non è tanto settembre. Per la didattica capiremo come organizzarci, come fare. Quanto a me, la cosa che mi preoccupa di più è: “Adesso, finita la scuola, questi bambini cosa faranno?”. Tra l’oratorio e il centro estivo c’erano tanti agganci. Questo è un problema anche per le famiglie meno in difficoltà. Va bene lo smart working, però, se a un certo punto riaprono parzialmente le aziende e devo stare a casa tre giorni a settimana e gli altri devo andare a lavorare, dove lascio i figli?

E per quanto riguarda le valutazioni come vi siete comportati?
Per ora non sono stati messi voti. Il lavoro che è stato fatto è stato fatto ancora senza verifiche, perché chiaramente sono piccoli, non sono alle superiori. Ne discuteremo in collegio giovedì, però si darà la precedenza al discorso della partecipazione, dell’interesse. Però anche lì subentra una questione: se il bambino non partecipa è perché non ha la possibilità di farlo? È un po’ tutto in forse: quando il problema è il mangiare il collegamento per le lezioni online diventa l’ultima delle questioni da affrontare. 

 

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